STORIA DELLA SOCIOLOGIA CLINICA

Quando la sociologia clinica emerse per la prima volta negli Stati Uniti, come disciplina alla fine del 1800, dopo la guerra civile e la ricostruzione, la nazione era alle prese con problemi di democrazia e di giustizia sociale. Thomas e Znaniecki (1918-20) avevano sviluppato il metodo delle “storie di vita” considerato come il più perfetto tipo di “materiale sociologico”.

L’introduzione delle storie di vita come strumento di ricerca sociologica può essere considerato come l’inizio della sociologia clinica.  Ma l’avvento della depressione e la maggior attenzione verso l’analisi quantitativa dei dati sociali spinse le storie di vita, come strumento di ricerca sociologica, nell’ombra.

I consultori per l’infanzia erano stati inaugurati nel 1924 dal “Commonwealth Fund” con grandi speranze che una cura precoce fosse in grado di ridurre i problemi di adattamento negli adulti.

Ma ufficialmente il termine Sociologia Clinica fu riconosciuto dalla comunità scientifica per la prima volta negli Stati Uniti solo dopo il crollo della borsa di Waal Street nel  1929 grazie a Winternitz.

Lasswel nel 1930 aveva completato il suo classico “Psicopatologia e Politici” nel quale tentava di stabilire una relazione tra il ruolo politico di persone appartenenti a diversi gruppi radicali ed il loro sviluppo psico-dinamico, suggerendo la possibilità di un nuovo campo di attività e di studio che avrebbe avuto come principale interesse lo sviluppo di una migliore conoscenza della personalità umana.  Dal dopo guerra, solo pochi sociologi americani si sono presentati come sociologi clinici in seguito alle ricerche-intervento, che analizzavano problemi sociali critici ed opere di consulenza per singoli e gruppi.

Il primo intervento di sociologia clinica in Italia, lo si è avuto nel 1950 a Matera (Bari), con lo spostamento degli abitanti dai “sassi” di Matera in un luogo diverso (condomini) attraverso uno studio elaborato dai sociologi Freedman, Ardigò e dall’antropologo Tullio Pentori, anche se non ha dato i risultati che ci si aspettava dal punto di vista del riadattamento della popolazione in case civilizzate.

Durante gli ultimi 65 anni, negli Stati Uniti, dibattiti sulla sociologia clinica sono sempre stati presenti nella letteratura ma è stato solo dagli anni ’80 che questa disciplina ha raggiunto una considerevole attenzione.

La Clinical Sociology Association, fondata nel 1978, diventò Sociological Practice Association (SPA) nel 1986 e attualmente è la più grande organizzazione di sociologi clinici ed applicati.  I membri dell’SPA cominciarono a cambiare il panorama della sociologia fissandone un codice deontologico specifico; i sociologi che operavano in alcuni tipi di contesti professionali (come il counseling, la terapia di gruppo, la mediazione sociale) si resero conto che senza certificazione o senza licenza correvano il rischio di competere con altri professionisti in alcuni tipi di lavoro.

I sociologi clinici contemporanei sono eclettici nell’uso delle teorie di estrazione multidisciplinare e si avvalgono di svariati metodi e tecniche dando specifici contributi allo sviluppo della sociologia clinica internazionale.

 

LE LEGGI VIGENTI

 

Attualmente si rispolverano e tornano in auge vecchi istituti, si pone mano a riforme e adeguamenti per renderli più rispondenti alle mutate esigenze.

Ad esempio con la legge n.374 del 1991 si istituisce il Giudice di Pace con competenze in materia Civile, allo scopo di alleggerire il carico di lavoro degli uffici giudiziari.

Si procede con la legge n.25 del 1994 alla Riforma dell’Arbitrato, un istituto di antica data, previsto dal nostro codice (Titolo VIII  artt. 806-815), che istituito nel 1886 presso la Camera di Commercio di Napoli, con una “Camera di arbitraggio”, composta da un collegio a cui era attribuito il compito di esaminare e risolvere le contestazioni tra venditori e compratori di cereali, ha dilatato il suo ambito di applicazione e continua a svolgere positivamente la sua funzione, nei limiti consentiti dalla legge, la quale prevede che:

“le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte, tranne quelle previste negli artt. 409 e 442, quelle che riguardano questioni di Stato e di Separazione Personale tra coniugi e le altre che non possono formare oggetto di transazione” (c.p.c. art. 806). 

Si aprono attualmente con sempre maggior frequenza presso le varie sedi delle Camere di Commercio, “Sportelli di Conciliazione” per dirimere bonariamente le controversie tra consumatori e imprenditori. Camere di Commercio vengono istituite presso Ordini Professionali, per consentire la soluzione extragiudiziale delle vertenze.

 

In particolare negli Stati Uniti si individuano e si sperimentano tecniche alternative dal 1993; per la prima volta il Codice Deontologico degli Avvocati del Colorado, impone all’avvocato di informare i propri clienti riguardo alle “forme alternative di composizione delle vertenze”.

Nel Regno Unito viene ampiamente utilizzata la Mediazione come strumento alternativo per la composizione delle dispute. In Danimarca e in Norvegia vi si fa ricorso in Sede Amministrativa.

Procedure di mediazione sono previste in Germania con modelli di impostazione Statunitense dalla “Legge sull’infanzia e l’adolescenza” e in Francia, dove in linea con le “Direttive della Convenzione del Consiglio d’Europa”, il minore, pur non divenendo parte in causa, viene ascoltato nel corso del processo che lo riguarda, su iniziativa del Giudice.

Sulla scorta delle esperienze straniere, anche in Italia comincia ad affermarsi la tendenza a ricorrere sempre più frequentemente alla mediazione e nel settembre del 1997 la legge n. 285 all’art.4 sancisce l’utilità di tale mezzo al fine del superamento delle difficoltà relazionali.

Nella Gazzetta Ufficiale del 19/02/1998 viene ribadita la Legge del 19/07/1991 riguardante i “Primi interventi in favore dei minori soggetti a rischio di coinvolgimento in attività criminose” dalla quale si stralcia dalla pag. 47 quanto segue: (18)

Servizi di Mediazione sociale e/o penale:

  • offrire ai giovani uno spazio in cui possano esprimere le situazioni conflittuali alla presenza di interlocutori capaci di fornire strumenti per elaborarle e gestirle e di attivare un processo che non debba necessariamente essere risolutore delle problematiche, ma che si adoperi affinché, tra le parti, si aprano canali di comunicazione interrotti;
  • offrire uno spazio di incontro tra vittima e autore del reato, al fine di dare l’opportunità di un dialogo tra le parti nella prospettiva della riparazione. Ciò affinché l’autore giunga alla comprensione dei risvolti etici e giuridici dei suoi comportamenti e la vittima senta accolti i propri sentimenti legati al fatto-reato;
  • formare mediatori sul territorio, cioè figure in grado di appropriarsi direttamente della funzione di mediare il conflitto in ambito sociale e/o penale.

 

La conflittualità diffusa, i tempi lunghi della giustizia, i suoi costi elevati, l’insoddisfazione di quanti escono perdenti dal giudizio, mette in discussione i mezzi tradizionali di risoluzione delle dispute e incoraggia la ricerca di strumenti più idonei. Si diffonde l’esigenza di raggiungere il massimo di giustizia con il minimo di giudizio e anche il legislatore italiano si attiva in tal senso.